Intervista al Professor Manlio Maggi
di Valerio Russo
Oggi più che mai il cambiamento climatico pesa come una spada di Damocle sul futuro del Pianeta. Il vertice di Copenaghen ha stabilito la necessità di contenere l’aumento della temperatura entro il 2030. Ciò vuol dire che le vie energetiche tradizionali debbono essere abbandonate.
In, Italia, soprattutto sotto la propulsione del governo Berlusconi, la scelta sembra orientarsi su un ritorno al nucleare; questa soluzione viene proposta come l’unica in grado di garantire crescita, produzione e consumo. Sono questi i tre pilastri del panorama mondiale contemporaneo, il risultato decisivo di quella cesura storica che è stata la rivoluzione industriale.
Nella situazione in cui i combustibili fossili sono vicini all’esaurimento ed, al tempo stesso, presentano al pianeta un conto gravoso in termini di C02 rilasciata nell’ambiente, si inizia a pensare all’importanza di un mondo futuribile, alla necessità di percorrere strade energetiche più sicure. Si apre dunque un dibattito tra coloro che vogliono perseguire la via del rinnovabile, come unico mezzo per sostenere l’uomo ed aiutare il pianeta, e coloro che individuano l’impossibilità di tale scelta. “Ora solo l'energia nucleare può fermare il riscaldamento globale”, queste sono le parole dello scienziato ambientalista James Lovelock, il quale ritiene le energie rinnovabili una scelta tardiva.
L’Italia, che attualmente è il sesto paese al mondo per la dipendenza energetica dai combustibili fossili ed acquista l’energia carbon-free dalla Francia, resta paralizzata su una possibile scelta del nucleare. Paralizzata perché i rischi sismici, insieme ai fantasmi evocati dall’episodio di Chernobyl e alle difficoltà di smaltimento delle scorie radioattive, suscitano domande: E’ questa una strada percorribile in Italia? L’energia rinnovabile costituisce un’alternativa valida?
Queste domande costituiscono il tema su cui è incentrata l’intervista a Manlio Maggi, primo tecnologo dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e docente presso l'Università del Molise.
Professor Maggi, lei cura una rubrica aperiodica dal nome “Tecno Rischio e ambiente”, quale è la relazione tra questi due termini?
Alcuni studiosi contemporanei hanno definito la società attuale come “società del rischio”, perché fortemente caratterizzata da una universale preoccupazione nei confronti dei rischi locali e globali, della vulnerabilità dell’ambiente e dello stesso genere umano. Parte rilevante di tale preoccupazione è ascrivibile al cosiddetto “rischio tecnologico-ambientale”,legato alle conseguenze non intenzionali dell’azione dell’uomo - e segnatamente dell’applicazione di scienza e tecnologia - sull’ambiente e, quindi, sull’uomo stesso.
L’affidamento al nucleare è ancora una volta una manifestazione del tecno-ottimismo?
Non so se la vera questione sia in un ingenuo ottimismo tecnologico. Per quanto riguarda il tardivo progetto di rilancio in Italia, mi sembra molto discutibile sia sotto il profilo economico, sia dal punto di vista dell’idoneità del territorio nazionale, sia , inoltre, per le difficoltà nella gestione dei rifiuti ad alta attività prodotti dagli impianti. Da valutare infine, seppur con bassa probabilità, la possibilità di incidenti catastrofici.
E’ ammissibile secondo lei una preferenza dei benefici immediati rispetto ai possibili rischi futuri?
Occorre soprattutto capire se perseguire un beneficio immediato in un determinato ambito comporti, anche nell’immediato, svantaggi in altri ambiti, oppure comprometta o meno il futuro. In realtà, nell’agire sociale prevalente, è forte ciò che possiamo definire un problema di “miopia”. Invece, proprio la maggiore conoscenza scientifica di cui disponiamo dovrebbe spingere alla comprensione che è necessario ragionare, anche in termini di rapporto rischi/benefici, sul lungo periodo. Non si può più fare finta di ignorare che ciò che ci attende nel prossimo futuro è costruito dalle scelte del presente.
Qual è la situazione italiana riguardo le fonti rinnovabili?
Nel nostro Paese siamo partiti con un po’ di ritardo per quanto riguarda l’eolico e il solare, cresciuti sensibilmente solo negli ultimi anni, e non senza porre, tra le altre cose, problemi di inserimento nel territorio di tali impianti, soprattutto quando assumono dimensioni “industriali”. Oltre alla produzione energetica da biomasse (in aumento) e quella geotermica (stabile), è da sottolineare, poi, una storica presenza della fonte idroelettrica, che mantiene tuttora un peso decisamente prevalente tra le energie rinnovabili (nel 2009, circa il 70% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili). Il complesso della produzione da fonti rinnovabili, nel corso del 2009, ha contribuito alla produzione elettrica nazionale nella misura di quasi il 24%.
Qual è la percezione sociale di tali energie nel nostro Paese?
In linea generale, le fonti rinnovabili sono viste molto positivamente dall’opinione pubblica. In particolare, soprattutto il solare fotovoltaico e l’eolico, riscuotono livelli altissimi di consenso, rispetto alle fonti “tradizionali”, delle quali si percepisce l’impatto ambientale e l’intrinseca rischiosità. Nelle inchieste a livello nazionale, il giudizio positivo per le rinnovabili citate è sempre superiore all’80-90%, contro circa il 30% o meno per carbone, petrolio e nucleare. Le cose si complicano quando si passa sul piano locale e si è di fronte a specifici impianti (“parchi” eolici o fotovoltaici) in specifiche aree territoriali.