giovedì 31 marzo 2011



di Roberto D'Amico

Le autorità giapponesi mentono sui valori di radioattività nei pressi della centrale di Fukushima. E’ quanto denuncia Greenpeace dopo un sopralluogo tecnico svolto il 28 marzo nel villaggio di Iitate, a 40 km a Nord-Ovest dalla centrale. La squadra di esperti ha trovato livelli di contaminazione fino a 10 micro Sievert per ora (µS/h). Questi valori si riferiscono alla sola radioattività esterna e non considerano il rischio aggiuntivo causato da inalazione e ingestione di particelle radioattive. Il rischio, per i cittadini che abitano in quell’area, è che in soli cinque giorni venga superato il limite per la dose annua che è di 1000 µS/h.

Un nuovo studio commissionato da Greenpeace Germania al Dr. Helmut Hirsch, esperto di sicurezza nucleare, rivela inoltre che l'incidente alla centrale giapponese di Fukushima ha già rilasciato abbastanza radioattività da essere classificato di livello 7, secondo l’International Nuclear Event Scale (INES). Vale a dire il livello massimo di gravità per gli incidenti nucleari, raggiunto in precedenza solo a Cernobyl nel 1986. Inoltre la Tepco, la società che gestisce l'impianto, ha ammesso che tracce di Plutonio sono state rilevate in cinque punti nei pressi della centrale di Fukushima.

“La nostra denuncia – afferma Salvatore Barbera Responsabile campagna Nucleare Greenpeace Italia – è rivolta all’operato del Primo Ministro giapponese che pur sapendo del rischio di fusione del nocciolo dal primo giorno dell'incidente ha autorizzato lo scarico di vapore dal reattore solo due giorni dopo, aumentando probabilmente i danni al combustibile nucleare e al sistema di raffreddamento. Greenpeace chiede che la popolazione venga subito evacuata perché rimanere a Iitate non è sicuro in particolar modo per donne incinte e bambini”.

Link allo studio del Dr. Helmut Hirsch: http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/rapporti/fukushima-report/



mercoledì 9 marzo 2011

Nucleare e Tecno Rischio, Rinnovabile e mondo futuribile














Intervista al Professor Manlio Maggi

di Valerio Russo

Oggi più che mai il cambiamento climatico pesa come una spada di Damocle sul futuro del Pianeta. Il vertice di Copenaghen ha stabilito la necessità di contenere l’aumento della temperatura entro il 2030. Ciò vuol dire che le vie energetiche tradizionali debbono essere abbandonate.
In, Italia, soprattutto sotto la propulsione del governo Berlusconi, la scelta sembra orientarsi su un ritorno al nucleare; questa soluzione viene proposta come l’unica in grado di garantire crescita, produzione e consumo. Sono questi i tre pilastri del panorama mondiale contemporaneo, il risultato decisivo di quella cesura storica che è stata la rivoluzione industriale.
Nella situazione in cui i combustibili fossili sono vicini all’esaurimento ed, al tempo stesso, presentano al pianeta un conto gravoso in termini di C02 rilasciata nell’ambiente, si inizia a pensare all’importanza di un mondo futuribile, alla necessità di percorrere strade energetiche più sicure. Si apre dunque un dibattito tra coloro che vogliono perseguire la via del rinnovabile, come unico mezzo per sostenere l’uomo ed aiutare il pianeta, e coloro che individuano l’impossibilità di tale scelta. “Ora solo l'energia nucleare può fermare il riscaldamento globale”, queste sono le parole dello scienziato ambientalista James Lovelock, il quale ritiene le energie rinnovabili una scelta tardiva.
L’Italia, che attualmente è il sesto paese al mondo per la dipendenza
energetica dai combustibili fossili ed acquista l’energia carbon-free dalla Francia, resta paralizzata su una possibile scelta del nucleare. Paralizzata perché i rischi sismici, insieme ai fantasmi evocati dall’episodio di Chernobyl e alle difficoltà di smaltimento delle scorie radioattive, suscitano domande: E’ questa una strada percorribile in Italia? L’energia rinnovabile costituisce un’alternativa valida?
Queste domande costituiscono il tema su cui è incentrata l’intervista a Manlio Maggi, primo tecnologo dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e docente presso l'Università del Molise.

Professor Maggi, lei cura una rubrica aperiodica dal nome “Tecno Rischio e ambiente”, quale è la relazione tra questi due termini?
Alcuni studiosi contemporanei hanno definito la società attuale come “società del rischio”, perché fortemente caratterizzata da una universale preoccupazione nei confronti dei rischi locali e globali, della vulnerabilità dell’ambiente e dello stesso genere umano. Parte rilevante di tale preoccupazione è ascrivibile al cosiddetto “rischio tecnologico-ambientale”,legato alle conseguenze non intenzionali dell’azione dell’uomo - e segnatamente dell’applicazione di scienza e tecnologia - sull’ambiente e, quindi, sull’uomo stesso.

L’affidamento al nucleare è ancora una volta una manifestazione del tecno-ottimismo?
Non so se la vera questione sia in un ingenuo ottimismo tecnologico. Per quanto riguarda il tardivo progetto di rilancio in Italia, mi sembra molto discutibile sia sotto il profilo economico, sia dal punto di vista dell’idoneità del territorio nazionale, sia , inoltre, per le difficoltà nella gestione dei rifiuti ad alta attività prodotti dagli impianti. Da valutare infine, seppur con bassa probabilità, la possibilità di incidenti catastrofici.

E’ ammissibile secondo lei una preferenza dei benefici immediati rispetto ai possibili rischi futuri?
Occorre soprattutto capire se perseguire un beneficio immediato in un determinato ambito comporti, anche nell’immediato, svantaggi in altri ambiti, oppure comprometta o meno il futuro. In realtà, nell’agire sociale prevalente, è forte ciò che possiamo definire un problema di “miopia”. Invece, proprio la maggiore conoscenza scientifica di cui disponiamo dovrebbe spingere alla comprensione che è necessario ragionare, anche in termini di rapporto rischi/benefici, sul lungo periodo. Non si può più fare finta di ignorare che ciò che ci attende nel prossimo futuro è costruito dalle scelte del presente.

Qual è la situazione italiana riguardo le fonti rinnovabili?
Nel nostro Paese siamo partiti con un po’ di ritardo per quanto riguarda l’eolico e il solare, cresciuti sensibilmente solo negli ultimi anni, e non senza porre, tra le altre cose, problemi di inserimento nel territorio di tali impianti, soprattutto quando assumono dimensioni “industriali”. Oltre alla produzione energetica da biomasse (in aumento) e quella geotermica (stabile), è da sottolineare, poi, una storica presenza della fonte idroelettrica, che mantiene tuttora un peso decisamente prevalente tra le energie rinnovabili (nel 2009, circa il 70% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili). Il complesso della produzione da fonti rinnovabili, nel corso del 2009, ha contribuito alla produzione elettrica nazionale nella misura di quasi il 24%.

Qual è la percezione sociale di tali energie nel nostro Paese?
In linea generale, le fonti rinnovabili sono viste molto positivamente dall’opinione pubblica. In particolare, soprattutto il solare fotovoltaico e l’eolico, riscuotono livelli altissimi di consenso, rispetto alle fonti “tradizionali”, delle quali si percepisce l’impatto ambientale e l’intrinseca rischiosità. Nelle inchieste a livello nazionale, il giudizio positivo per le rinnovabili citate è sempre superiore all’80-90%, contro circa il 30% o meno per carbone, petrolio e nucleare. Le cose si complicano quando si passa sul piano locale e si è di fronte a specifici impianti (“parchi” eolici o fotovoltaici) in specifiche aree territoriali.

martedì 1 marzo 2011

Il Governo vuole tagliare le rinnovabili

Dal comunicato stampa di Legambiente Italia del 28/2/2011

“Il Governo Berlusconi getta la maschera con un attacco senza precedenti alle fonti rinnovabili. Con la proposta di Decreto legislativo che verrà presentata domani dal Ministro Romani si vogliono fermare l’eolico, il solare, e le biomasse in Italia per dare spazio al nucleare”.

Questa la dichiarazione di Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente, che ha partecipato questa mattina alla conferenza stampa davanti al Ministero dello Sviluppo economico convocata da Legambiente Greenpeace, Wwf, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Kyoto Club, Ises, Anev, Aper, Assoenergie futuro, Assosolare.

Legambiente ha analizzato nel dettaglio i contenuti della proposta di Decreto in attuazione della direttiva 2009/28/CE, che il ministro Romani presenterà al Pre-Consiglio dei Ministri di domani, 1 marzo, e che bloccherebbe inesorabilmente lo sviluppo delle Rinnovabili in Italia: per il solare fotovoltaico il Decreto prevede un tetto a 8.000 MW, dopo il quale è previsto lo stop a qualsiasi incentivo. Limite incomprensibile, pari al fotovoltaico installato nel solo 2010 dalla Germania che ha così superato i 18.000 MW installati complessivamente puntando, in poco tempo, a raddoppiare questi obiettivi per raggiungere i target previsti dall’Unione Europea al 2020; per l’eolico, taglio retroattivo del 30% per gli incentivi in vigore: quando l’Unione Europea ha stabilito il divieto a qualsiasi intervento retroattivo proprio perché toglierebbero certezze agli investimenti delle imprese nel settore; un fallimentare sistema di incentivi con aste per i nuovi impianti: invece di ripensare gli attuali sistemi di incentivo, o copiare i migliori sistemi in vigore nei Paesi dove le rinnovabili stanno crescendo, si vuole introdurre in Italia il sistema delle aste che ha fallito in tutti i Paesi in cui è stato introdotto; stop ai regolamenti edilizi comunali e alle leggi regionali che spingono le rinnovabili in edilizia: altro che federalismo, il Decreto prevede il divieto di indicazioni “diverse o superiori” a quelle previste nel testo per le fonti rinnovabili in edilizia, con la conseguenza che i Comuni e le Regioni che già sono intervenute, in alcuni casi con indicazioni molto più ambiziose, dovranno fare un passo indietro senza poter, in alcun modo, intervenire in materia.

“Questo Decreto, se non verrà cambiato, sarà un autentico schiaffo da parte di Romani nei confronti del Parlamento e della stessa Unione Europea – ha continuato Rossella Muroni -. Dopo due mesi di audizioni e confronti in Parlamento, con l’approvazione di risoluzioni da parte di Camera e Senato che proponevano correttivi al primo testo presentato dal Governo, perché approvare un testo che non tiene in alcun conto queste proposte? Forse, allora, era questo l’obiettivo della campagna mediatica negativa condotta dal Governo in questi mesi contro le fonti rinnovabili? Per far partire il nucleare facendolo pagare ai cittadini in bolletta?”.

Legambiente si batterà per cambiare il provvedimento e invierà al più presto le sue osservazioni a Bruxelles, per denunciare come un Decreto che doveva attuare gli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili (decisi dall’Unione Europea con una precisa Direttiva) ne blocchi invece lo sviluppo.

Oltretutto, questa decisione costituirebbe la chiara smentita di quanto il Governo italiano si era impegnato a fare nel Piano Nazionale - inviato solo pochi mesi fa a Bruxelles - dove ben altri erano gli obiettivi e gli interventi previsti per attuare il target obbligatorio al 2020 del 17% di contributo delle fonti rinnovabili rispetto ai consumi finali.

“Ci auguriamo – conclude il direttore di Legambiente - che almeno il Ministro Prestigiacomo intervenga e faccia valere le ragioni dell’ambiente”.